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Long Covid, aspetti psicologici e cognitivi

mercoledì 06 Luglio 2022
Con il procedere della pandemia da COVID-19 è diventato sempre più chiaro come molti pazienti sperimentino, oltre a quelli respiratori, sintomi e complicazioni multiorgano, che possono persistere anche dopo molte settimane la guarigione dall’infezione. La definizione maggiormente utilizzata sia in ambito scientifico che divulgativo è “Long Covid”.  
Dal punto di vista psicologico e cognitivo, sono stati riportati diversi sintomi: grave affaticamento, dolore, fragilità cognitiva, disturbi del sonno. In particolare sono evidenziati numerosi sintomi neuropsichiatrici, come l’ansia (13%), la depressione (12%) e disturbi del sonno (11%) e sintomi cognitivi quali disturbi dell'attenzione (27%), e della memoria (16%) (Lopez et al., 2021) che vengono oggi denominati Neurocovid e che possono persistere anche dopo molte settimane la guarigione dall’infezione.

I dati sono stati presentati durante una conferenza stampa a cura della Direzione Generale dell'Azienda Ospedale Università di Padova. Sono intervenuti il Direttore Generale Giuseppe Dal Ben e la dott. ssa Rossana Schiavo, Direttrice UOC di Psicologia dell'Azienda Ospedale Università di Padova.

Non è ancora chiaro se il SARS-CoV-2 possa direttamente interessare direttamente l’encefalo oppure se i sintomi neurologici possano dipendere da cause non specifiche e indirette come, per esempio, infiammazione sistemica e interventi medici come la ventilazione (Kumar, S. et al. 2021). Questo campo nascente della ricerca sta cercando maggiore rigore metodologico per la precoce identificazione e caratterizzazione delle conseguenze cognitive a seguito di COVID-19, in tutti i gradi della gravità della malattia.
Nel complesso, i domini cognitivi spesso alterati sono quelli relativi alle funzioni esecutive (processi di pianificazione, controllo e coordinazione dell’attenzione, problem solving, metacognizione), attenzione (soprattutto durante compiti complessi, come gestire più informazioni contemporaneamente o passare da un’occupazione ad un’altra) e memoria (Bruno Biagianti et al., Cognitive Assessment in SARS-CoV-2 Patients: A Systematic Review)

Si parla spesso a tal proposito di brain fog (nebbia mentale o nebbia cognitiva) per descrivere questa condizione di obnubilamento, persistente stanchezza e riduzione dell’efficienza mentale.

L’Azienda Ospedale Università di Padova, attraverso la UOC di Psicologia Ospedaliera in collaborazione con la UOC Malattie Infettive e Tropicali e la UOC Pneumologia ha sin dai primi mesi della pandemia ha dato il suo contributo su questo tema.
Da Maggio del 2020 sono infatti stati valutati, attraverso un’approfondita valutazione psicologica e neuropsicologica, oltre 400 pazienti guariti da COVID19. Al fine di comprendere le ricadute a medio e lungo termine sullo stato emotivo e cognitivo dell’infezione, i pazienti sono stati seguiti nel tempo fino a sei
mesi dalla dimissione.

I risultati preliminari dell’indagine sono stati pubblicati su Frontiers (“Cognitive and Psychological Sequelae of COVID-19: Age Differences in Facing the Pandemic”, Devita et al., 2021) con lo scopo di valutare le differenze cognitive e sequele psicologiche di COVID-19 tra giovani e anziani adulti guariti valutati entro 1 mese dall'ultimo negativo test del tampone nasofaringeo.
I nostri risultati confermare che la cognizione è influenzata negativamente dalla durata di ricovero, corroborando i precedenti risultati che hanno mostrato effetti dannosi del ricovero sulla cognizione (15).
I risultati hanno mostrato come inaspettatamente gli effetti psicologici negativi della pandemia di COVID-19 colpiscano in particolare gli individui più giovani di età inferiore ai 65 anni. I più giovani lamentano di sperimentare difficoltà cognitive maggiori nella vita quotidiana dopo l'infezione. Inoltre, la presenza di reazioni post traumatiche da stress dei giovani adulti è confermato dalla presenza di sintomi neurologici legati al COVID-19, dall'intensità delle cure ricevute, e dall'intubazione durante il ricovero.
Gli individui con più di 65 anni, invece, sembrano soffrire di meno delle conseguenze dovute al COVID-19 suppur mostrino punteggi inferiori nei test di attenzione, memoria e ragionamento.
Una possibile spiegazione che ci siamo dati è che i più giovani sono meno abituati a sperimentare qualche tipo di malattia rispetto agli anziani che risulterebbero più resilienti nell’affrontare la pandemia. È inoltre possibile che non solo l'infezione stessa, ma anche le restrizioni sociali, e tutti gli sconvolgimenti della routine quotidiana abbiano colpito maggiormente i soggetti più giovani, piuttosto che anziani, che ora stanno pagando le conseguenze maggiori della pandemia, comprese quelle cognitive.
Ciò conferma come in generale gli effetti dell’isolamento, con i cambiamenti della routine quotidiana e la riduzione di stimoli emotivi, sociali e fisici, hanno rappresentato un detonatore per l’incremento rapido di disturbi neuropsichiatrici nella popolazione, in particolare quella più fragile.

Un secondo lavoro in press (Risk and protective factors of psychological distress in COVID-19 patients: the role of cognitive reserve, Devita&Di Rosa et al., 2022) è volto ad indagare i sintomi di disagio psicologico nei pazienti guariti dal COVID19.
Questo studio presenta un elemento di novità rispetto a quanto attualmente mostrato da ricercatori nazionali ed internazionali.
I dati infatti mostrano come i partecipanti al nostro studio con alti indici di riserva cognitiva (CRI), ovvero con elevata istruzione, con un lavoro che comporta un certo grado di impegno e di responsabilità personale e con interessi cognitivamente stimolanti - attività di  carattere intellettuale (ad es. «lettura di libri» o «mostre, concerti, conferenze»), attività sociali e sportive (ad es. «attività di volontariato» o «sport di ogni genere») e attività ricreative (ad es. «viaggi di più giorni» o «attività artistiche») subiscono in misura minore gli effetti psicologici traumatici della pandemia.
Nel nostro studio, invece, i partecipanti con basso indice CRI, hanno mostrato una maggior frequenza di sintomi post-traumatici.
Con Cognitive Reserve (CR) si indicano le differenze individuali non nell’anatomia, ma nelle modalità con le quali vengono elaborate le informazioni (fra queste l’efficienza e la flessibilità delle reti neurali). Tali modalità permettono una migliore capacità di far fronte al danno cerebrale (Nucci M., Mondini S., Mapelli D.).
Ciò attesta che condurre uno stile di vita attivo ed più ricco di stimoli può fungere da fattore protettivo sulla salute psichica e cognitiva.



Lo studio ha rilevato, inoltre, che più del 20% del campione ha mostrato punteggi clinicamente rilevanti alla valutazione delle sottoscale SCL-90-R relative a sintomi di ansia (22,6%), ansia fobica (28,8%), ossessivo–compulsivi (25,3%), depressione (23%) e somatizzazione (27,6%). E’ rilevante notare che, prima del pandemia, la prevalenza italiana delle malattie mentali era del 7% (De Girolamo et al., 2014).
Di particolare interesse potrebbe rivelarsi indagare in che misura i sintomi dello spettro dell’ansia (ansia, ansia fobica e i comportamenti ossessivo-compulsivi) possano essere correlati ad una possibile reinfezione da COVID19, al distanziamento sociale che attiva meccanismi di evitamento relazionale, alle condotte preventive di igiene e controllo ripetuto indotti dalle misure preventive del contagio e ad altri elementi caratteristici della pandemia e della sua gestione comportamentale ed emotiva.

Lo studio ha messo in luce, infine, che le donne, specie se consapevoli di avere subito difficoltà cognitive successive all’infezione, sono maggiormente a rischio di sviluppare disagio psicologico con un numero maggiore di sintomi, confermano quanto rilevato da altre ricerche.

Il lavoro di indagine clinica sta proseguendo e sono attualmente in corso le analisi sui dati raccolti nei sei mesi successivi all’ospedalizzazione per ricavarne informazioni differenziate per sottogruppi.
Sono inoltre iniziate due nuove rilevazioni. La prima riguarda i 400 pazienti valutati negli ultimi due anni che
verranno nuovamente richiamati per un controllo a lungo termine.
La seconda, invece, vuole valutare alla luce delle nuove conoscenze di trattamento dell’infezione da COVID
19, gli effetti psicologici e cognitivi della terapia monoclonale e antivirale.
Sameer Khan e Damir Huremovic scrivono “Le pandemie sconvolgono il nostro senso della realtà e dell'ordine, portando a un mutato modo di immagazzinare e metabolizzare ricordi ed esperienze – e un ritorno a la normalità è accompagnata persino dall'amnesia per il caos e trauma che ha preceduto la guarigione” (Psychology of the Pandemic, 2019).
L’Azienda Ospedale Università di Padova sta, invece, proseguendo il suo impegno facendo tesoro dell’esperienza e della conoscenza acquisita per poter offrire in un’ottica multidisciplinare integrata una sempre più accurata valutazione e sviluppare gli interventi appropriati, data la fondamentale importanza di far fronte al complesso fenomeno pandemico nelle sue diverse manifestazioni e conseguenze.


Il Direttore Generale Giuseppe Dal Ben e la dott.ssa Rossana Schiavo Direttore UOC Psicologia AOUP


 
Ultimo aggiornamento: 06/07/2022
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