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Progetto "Mens sana in corpore sano"

Un itinerario fra storia e salute

La città con la sua urbanistica e la sua storia è un insieme di luoghi, di simboli che ci parlano della società e di chi la popola.
Ricostruirla com’era ieri, guardarla oggi è un interessante presupposto per capire la realtà dei luoghi urbani, le trasformazioni stilistiche e culturali.
Spazi, edifici, strade che diventano materiali, forme, colori, immagini, che custodiscono la memoria di un passato che fortunatamente ancora oggi è possibile vedere in parte ed immaginare nelle sue origini storiche e le varie aggiunte nel tempo.
Immaginare questi luoghi all’interno di un’area ospedaliera ci potrebbe sembrare qualcosa di inusuale, ma conoscere la città, il luogo dove si è nati o dove si abita fa parte della nostra crescita personale. Riconoscere forme, materiali, stili dell’arte del territorio, significa essere consapevoli del proprio patrimonio artistico.
Chiunque si metta in viaggio alla scoperta di una città deve imparare a guardare come un attore davanti alla scena di teatro e registrare dati per ricostruirla come fa lo scenografo.

L’Azienda Ospedale-Università di Padova è stata costruita lungo le mura rinascimentali della città di Padova. Il sistema bastionato è costituito da due lunghi tratti rettilinei che formano un angolo rientrante di circa 135° nell’area oggi occupata dall’Ospedale. Il tracciato rettifica quello delle mura medievali disponendosi all’esterno di queste.
Per tutto un tratto che attraversa l’area dell’ospedale, fino a via Giustiniani la cortina è rasa al suolo, ma se ne conserva in parte la scarpa ed è quindi possibile seguirne il tracciato interrotto da piccole breccie. Due iscrizioni in pietra ricordano che quei miseri resti erano un tempo le mura della città. Superata via Giustinaini la cortina invece si conserva fin sopra il cordone fino al baluardo interrotta da una sola breccia, con la porzione scarpata in parte nascosta sotto il livello del terreno.
 
Dietro questa rete si stende il più bell’esempio di giardino romantico all’inglese mai realizzato a Padova. Opera dell’architetto Giuseppe Jappelli cui si devono, oltre a numerosi altri parchi e giardini, il Caffè Pedrocchi e il Pubblico Macello (ora Liceo Artistico P. Selvatico), fu realizzato fra il 1829 e il 1835 per i conti Treves de’ Bonfili, dietro al loro palazzo di via Ospedale, e si estendeva fino alle mura a sud e agli antichi mulini dei Gesuiti a est.
Attraversato dal canale San Massimo, già dei Gesuiti, che prima di entrare nel parco riunisce le acque dell’Alicorno e del Santa Chiara, con le sue vallette e le sue montagnole, la vegetazione apparentemente spontanea e una serie di eclettici edifici - la pagoda, la cavallerizza, la serra, il tempietto circolare che nasconde una ghiacciaia - offriva, e in parte ancora offre, un gioco di prospettive sempre diverse e sorprendenti.
Acquistato dall’ospedale a inizio Novecento, mutilato della parte orientale, per anni in stato di abbandono e infine acquisito dal Comune e aperto al pubblico, è stato accuratamente restaurato fra il 1997 e il 2002.
Panchine nel giardino treves
Giardino treves
titolo + date evento + programma + immagine di cose a forma di cuore - tutto in rosso
Il complesso ospedaliero è sorto negli anni Sessanta del Novecento a cavallo di un lungo tratto delle mura rinascimentali di Padova, fra la porta Liviana, o di Pontecorvo, e il baluardo Cornaro.
Il muro, seppure interrotto in più punti e raso a livello del suolo, è stato conservato e lo si può seguire in tutto il suo sviluppo. Lo si può vedere ridotto a un paio di metri di altezza per tutto il tratto fra porta Pontecorvo e via Giustiniani. Del tutto scomparsa è la fossa esterna, occupata dagli edifici, salvo il tratto attorno al baluardo, uno dei rari casi in cui si è conservata.
La strada che corre sopra il muro attraversando l’area ospedaliera, occupando lo spazio dove un tempo sorgeva il terrapieno di rinforzo, è intitolata a Bartolomeo d’Alviano, capitano generale dell’esercito veneziano e responsabile della costruzione delle nuove mura, iniziate nel 1513, in conseguenza del fallito assedio del 1509 da parte delle truppe della lega di Cambrai.
Nell’angolo rientrante che il muro forma, le foto di metà Novecento mostrano due cannoniere, che forse ancora esistono sotto il livello stradale.
Iscrizione
Mura del pronto soccorso
Il piazzale fu realizzato alla fine degli anni Cinquanta del ’900 interrando il bacino formato dal canale dei Gesuiti (o di San Massimo), a valle dei mulini di proprietà dell’ordine. La volta in mattoni all’imbocco dell’attuale sottopassaggio è quanto rimane dell’antico ponte sotto il quale passava il canale.
Fu eretto nel 1516, all’indomani della costruzione delle nuove mura veneziane, spostate di un centinaio di metri verso la campagna rispetto a quelle carraresi trecentesche, che costeggiavano a nord il canale. Collegava due strade militari, la circonvallazione interna, via delle mura, e la parallela via dell’acqua, sulla sponda opposta del canale (odierne vie San Massimo e Ospedale).
In corrispondenza dell’incrocio fra le vie Falloppio-Giustiniani e Ospedale-San Massimo, un ponte più antico, più volte ricostruito, detto Peochioso, probabilmente dal latino pedaticum (pedaggio) attraversava il canale di Santa Sofia interrato nel 1874 (attuali vie Morgagni e Falloppio).
Prima ancora che fosse aperta via Bussi (oggi Giustiniani), da fine ’800 vi passava la tranvia per Bagnoli, proveniente dalla stazione di S. Sofia, in fondo a via Morgagni.
Foto del ponte romano
Il più grande baluardo di Padova intitolato a Girolamo Corner, capitano della città, al momento del suo completamento nel 1540 è l’unica opera realizzata a Padova da Michele Sanmicheli, inzegnere militare della Serenissima, ma anche uno dei maggiori architetti del Rinascimento veneto. Come più tardi il baluardo Santa Croce, fu aggiunto alla cinta muraria veneziana, eretta un venticinquennio prima, per rinforzarne un tratto giudicato troppo debole per l’eccessiva distanza fra i torrioni Buovo e Pontecorvo.
Anche se in parte devastato dalla costruzione su di esso del sanatorio e più tardi della clinica neurologica, conserva ancora le piazze basse di tiro a cielo aperto, l’una trasformata in parcheggio, l’altra coperta e occupata da magazzini e attrezzature, ma potenzialmente recuperabile.
Sui fianchi, le grandi aperture delle cannoniere sono oggi tamponate.
Il baluardo è accompagnato all’esterno dall’unico tratto ben conservato della fossa, la fascia di terreno che si stendeva fra le mura e la strada di circonvallazione (attuale via Gattamelata), che poteva essere facilmente allagata in caso di pericolo, bloccando l’acqua del fossato che scorreva lungo le mura oggi intubato.
Cornice leone marciano
Galleria est
vista sud est
Baluardo cornaro rusconi
Vista sud ovest
Eretta a metà Ottocento nel terreno in precedenza sistemato a giardino-orto botanico privato, attiguo al palazzo del nobile Francesco Morosini.
Serviva a tenere in serbo il ghiaccio naturale prelevato d’inverno da laghetti, fossi e canali, ed ermeticamente stivato al suo interno per essere utilizzato nei successivi mesi estivi.
Fu costruita in muratura di mattoni, a pianta circolare, coperta da volta emisferica, ammantata da uno spesso strato di terra, dotata di due porte d’accesso per ridurre la dispersione del freddo e ombreggiata da alberi tutto intorno. Costituisce uno dei pochi esempi, rimasti all’interno delle mura rinascimentali, di ghiacciaia veneta edificata sopra il piano di campagna allo scopo di evitare l’invasione dell’acqua.
Sino all’avvento delle macchine frigorifere e del ghiaccio artificiale del primo Novecento, questi manufatti hanno rappresentato l’unica riserva di freddo in grado di conservare le derrate alimentari e raffrescare le bevande nonché di lenire infiammazioni, febbre e dolori.
Ingresso della ghiacciaia
Esterno della ghiacciaia
 Interno della ghiacciaia
Ultimo aggiornamento: 22/02/2022